VIGEVANO: gli eventi per la Giornata della Memoria
EVENTI
IL RUMORE DELLA MEMORIA
Venerdì 1 febbraio 2019 – ore 21.00 – Sala Franzoso della Biblioteca Civica
IL GHETTO DI VARSAVIA: amore e lotta con Caterina Cotta Ramusino
L’EDUCAZIONE E I SUOI MISTERI di Giuseppe Vico
A cura Associazione Culturale delle Genti Lucane
Il Ghetto di Varsavia: quante volte ne abbiamo sentito parlare e cosa conosciamo della vita che vi si svolgeva? O, ancora, come potevano vivere quasi 500.000 persone accatastate – sì, accatastate è il termine più corretto - in 8 chilometri quadrati privi di spazi verdi? Quale era la vita che vi si svolgeva, quali le speranze, quali le paure che attraversava il cuore di tanta gente? Come il regime nazista aveva cercato di rappresentare la vita che vi si svolgeva? Quale è stata la molla che ha spinto tanta gente a ribellarsi con conseguenze che tutti possiamo immaginare? A queste domande e ad altre cercherà di rispondere VENERDI’ 1 febbraio, alle ore 21.00, presso la Sala Franzoso della Biblioteca Civica l’incontro promosso dall’Associazione Culturale delle Genti Lucane nell’abito delle iniziative promosse in occasione della Giornata della Memoria dall’Amministrazione comunale e da Rete Cultura Vigevano. La prof.ssa Caterina Cotta Ramusino, docente di Storia e Filosofia del Liceo Cairoli di Vigevano, con la consueta passione e con immagini, filmati d’epoca e letture, ripercorrerà la vita all’interno del Ghetto illustrando le passioni e le paure, le lotte e gli eroismi delle migliaia di persone che sono vissute e morte in quel luogo. Al termine il prof. Giuseppe Vico, già docente presso l’Università Cattolica di Milano, ci proporrà una riflessione sulla Educazione e sul ruolo della Scuola nel processi educativi dell’epoca.
Tutti i cittadini sono invitati.
Associazione Culturale delle GENTI LUCANE
Sabato 2 febbraio – ore 17.30 – Auditorium San Dionigi
TERESIO OLIVELLI – Ribelle per amore
di Anselmo Palini
presentazione di Marco Savini – letture di Valentina Summa e Gianmarco Marenghi
Il 3 febbraio 2018, a Vigevano, è avvenuta la beatificazione di Teresio Olivelli. La Chiesa lo indica come modello da imitare, come persona che, nel sacrificio supremo in un lager tedesco, ha compiuto il senso della propria esistenza, immolandosi per gli altri. Una testimonianza profetica di martirio che Anselmo Palini , insegnante, saggista e conoscitore dei temi legati alla pace, all’obiezione di coscienza, ai diritti umani e alla nonviolenza, racconta per i tipi dell’Ave.
Un libro che ricostruisce in modo corretto e completo la vicenda biografica di colui che don Mazzolari ha definito «lo spirito più cristiano del nostro secondo Risorgimento».
Olivelli partecipa attivamente alla vita dell’Azione cattolica e della Fuci e ciò non gli impedisce di immergersi convintamente, come tanti altri giovani del tempo, fin nel cuore del fascismo, cui fa seguito la scelta di arruolarsi volontario per combattere sul fronte russo come alpino, dove però constata di persona la devastazione materiale, morale e umana causata dalla folle politica fascista. Una volta ritornato in patria, aderisce alla Resistenza con le Fiamme Verdi, diventando “ribelle per amore”. Ciò avviene anche grazie all’incontro con persone e ambienti che gli permettono di tagliare nettamente i ponti con il passato e di impegnarsi a fondo nell’opposizione al nazifascismo, fino alla completa offerta di sé nel famigerato lager di Hersbruck.
La “ribellione per amore” non riguarda solo la partecipazione di Teresio Olivelli alla resistenza, ma anche la sua ribellione ai soprusi, alle angherie e alle brutalità nei lager in cui è stato detenuto. Nel lager di Hersbruck egli continua a difendere i propri compagni di prigionia per alleviarne le drammatiche sofferenze, operando sempre senza essere animato dall’odio o dal risentimento, ma appunto dall’amore. Muore a soli 29 anni per le percosse subite dai suoi aguzzini.
Il libro è arricchito dalla postfazione di Carla Bianchi Iacono, figlia di Carlo Bianchi, amico di Olivelli, fucilato a Fossoli il 12 luglio 1944.
Domenica 3 febbraio – ore 17.30 - Auditorium San Dionigi
“Le loro anime sono morte e la musica li sospinge come il vento le foglie secche” (Primo Levi)
LA SONATA DI AUSCHWITZ Musica e politica dal Fascismo alla Shoah (1938-1945)
Concerto multimediale
Un incontro per non dimenticare la più grande tragedia del XX secolo attraverso l’ insolito sguardo della musica.
Esecuzioni musicali, racconti, immagini e filmati riveleranno curiosi e inediti aspetti della politica culturale delle dittature nazi-fasciste e degli orrori dei campi di concentramento.
Un incontro privo di retorica e capace di stupire e commuovere.
Negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale il genere musicale della canzone, diffuso attraverso la radio, divenne un importante fenomeno di massa utilizzato ampiamente per la propaganda del regime fascista. Al trionfante ottimismo prebellico subentrò, all’inizio del conflitto, il bisogno di distrarre la gente dal dramma della guerra proponendo temi romantici, sentimentali e le cosiddette canzoni di allegria, dal tono leggero e divertente su ritmo di swing.
Nel 1938, con l’emanazione delle leggi razziali, un gran numero di musicisti, cantanti, coristi e impiegati in organizzazioni musicali persero il posto di lavoro. In realtà l’antisemitismo in Italia non attecchì quanto nel Reich, anche se ben pochi si ribellarono alla politica fascista; le persecuzioni più gravi si avranno durante l’occupazione tedesca. Il regime nazista istituì un’efficiente organizzazione della vita musicale facendone una potente macchina di propaganda e uno strumento di lotta contro gli oppositori politici, gli ebrei e la cultura “degenerata” (in ambito musicale: dodecafonia, jazz, cabaret berlinese etc.). Nei lager nazisti la musica assunse un ruolo di esaltazione dell'orrore e dell’annientamento della dignità umana.
Ad Auschwitz come a Mauthausen, orchestre formate dagli stessi detenuti davano concerti per lo svago delle SS, accoglievano i nuovi deportati, scandivano le marce dei prigionieri verso i lavori forzati, accompagnavano i condannati alle camere a gas ed esaltavano il sadismo degli ufficiali nelle violenze perpetrate ai danni delle donne e dei bambini.
Strumento di tortura, la musica contribuiva ad annientare la personalità degli individui; eppure per i deportati musicisti poter suonare o cantare significava ritrovare la dignità violata e, in molti casi, sopravvivere. Essere selezionati per le orchestre in determinate occasioni di festa dava la certezza che si sarebbe sopravvissuti per un altro giorno. Ma la musica ebbe un’importanza straordinaria in quanto capace d’illudere i detenuti di dimenticare l’orrore quotidiano e d’infondere speranza anche nei momenti di disperazione e sofferenza. Non mancano esempi di piccoli e grandi brani musicali composti dagli stessi prigionieri, come le struggenti canzoni della giovane poetessa Ilse Weber, realizzate per alleviare le pene dei bambini nel ghetto di Therezin. Trasferita ad Auschwitz nel 1944, la donna sarà uccisa nella camera a gas insieme al figlio Tommy.
A cura dell’Accademia Viscontea - Violinista/relatore: Maurizio Padovan
30/01/2019
La Redazione
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