TOUR VIRTUALI A CONFRONTO: Van Gogh Museum vs. Salvador Dalì Theatre
CULTURA
In questo terzo appuntamento si sfidano due grandi dell’arte, due degli artisti che ho amato di più per diverse ragioni: Vincent Van Gogh e Salvador Dalì. Qui non si discute il loro talento o la loro arte bensì l’allestimento delle loro opere all’interno dello spazio museale e se questo è fruibile e come lo è all’interno del vasto spazio del web. Iniziamo con il Museo ad Amsterdam. Van Gogh è stato il primo vero artista in cui mi sono imbattuta da piccolina: mia nonna aveva una riproduzione dei suoi famosissimi girasoli in soggiorno e in quel periodo un noto quotidiano nazionale regalava inserti dei grandi della pittura italiana ed internazionale. Il fascicolo l’ho mangiato con gli occhi, rapita da quei cipressi dalla punta ricciuta che si muovono all’ondeggiare dei pensieri, da quella notte stellata in continuo movimento, da quella sedia messa lì in un angolo, abbandonata ma che avrebbe raccontato un’infinità di storie, testimone silenzioso dei tormenti di un uomo incompreso. Non c’è blu senza giallo e senza arancione, non c’è notte senza il sole cocente del giorno, non c’è pace senza fatica. E questa passione, questa fame di vita che lo ha sempre accompagnato dovrebbe essere la chiave di lettura di ogni suo lavoro, anche quello più manieristico. Il Van Gogh Museum avrebbe tanto da dire, da comunicare: si dovrebbe fare Vincent reincarnato e ridarci la sua visione del mondo. Magari dal vivo lo fa anche questo duro compito, e mi perdonerete se Amsterdam non è stata ancora tra le mie mete di viaggio. Il virtual tour di questo importantissimo museo è inesistente: solo sei miseri video ci riportano alcune curiosità sulla collezione e sulle opere (potete vederli a questo link: https://www.vangoghmuseum.nl/en/explore-the-collection ). Video realizzati in modo pedestre con musichette di sottofondo e scritte a caratteri talmente grossi che anche nonna Abelarda riuscirebbe a leggere. Video che a mio giudizio non riportano in vita la Necessità con la quale Vincent doveva fare i conti ogni giorno. Voliamo ora sulle ali di una compagnia aerea digitale ed atterriamo a Figueres, e nelle mie orecchie risuona la canzone “Millionaire” dei Beady Eye (Liam Gallagher redivivo) in cui si cita il “dolce Salvador, le ombre dipinte e le luci che vide”, proprio scritta passando dalla città natale dell’artista, durante un tour lungo la costa catalana. Tra le calli del web arrivo a piedi scalzi, sotto l’incollerito sole di un agosto immaginario, davanti al Salvador Dalì Theatre Museum (https://www.salvador-dali.org/en/museums/dali-theatre-museum-in-figueres/visita-virtual/ ): una struttura conforme a quello che ti aspetteresti da un teatro ma assolutamente una scelta apparentemente bizzarra se pensiamo all’artista a cui è dedicato. Dico apparentemente, perché immergendosi letteralmente nel virtual tour del museo possiamo scoprire come la struttura sia stata adattata, come un orologio molle, alla filosofia di Dalì. Il Teatro diventa una chiesa, un templio pagano di venerazione dell’arte surrealista e del genio. Un percorso duplice: quello di navigazione in 3d camminando nei meandri della coclea metafisica dello spazio oppure nella modalità “dollhouse” che personalmente ricorda molto le atmosfere del film “Dogville” con Nicole Kidman, altrettanto straniante. Attraverso questa modalità si può volare, come un moderno Gargantua, di sala in sala e scoprire il segreto che si cela all’interno della lucidissima Cadillac nera nel centro del cortile principale (provare per credere), platea dell’anfiteatro, dove, nel suo sudario bianco, Dalì, “matador” sempre al centro della scena, declama la sua simulata follia che si sdoppia per mitosi nelle sale del museo. E’ nuovamente arrivato il momento di salutarci, sperando di avervi fatto scoprire un luogo che poco conoscevate, un modo per stare insieme, facendo le stesse cose, vedendo gli stessi posti, ognuno nella propria intimità ma… insieme. Questa situazione non l’abbiamo scelta, ci è capitata, la natura fa ciò che desidera e noi siamo solo piccoli ospiti, forse non troppo desiderati perché molesti, in questo pianeta che respira vita nonostante tutto. E vorrei concludere con una frase di Vincent Van Gogh che ci deve far riflettere su ciò che davvero deve essere posto in primo piano in questo momento: “quando si sta bene si deve poter vivere di un pezzo di pane, pur lavorando tutto il giorno, e avendo ancora la forza di fumare e di bere il proprio goccio. E allo stesso tempo sentire in modo chiaro che esistono le stelle e l'infinito. Allora la vita diventa quasi incantata”.
02/05/2020
Paola Doria
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