LUIGI DELLATORRE: (S)visioni future
INTERVISTE
L’occhio di Luigi Dellatorre guarda al futuro. Questo da sempre. Da quando. quarant’anni fa. ha iniziato a fare arte. così come la intende lui. Un’arte concettuale che vuole sensibilizzare chi guarda e coinvolgerlo nel processo. nel messaggio che l’artista vuole lanciare. Luigi riflette sul mondo e lancia. attraverso la sua arte. troppo “avanti” per essere compresa qui nella piccola provincia. accorati appelli sui temi della società in cui viviamo. L’arte è parte della società e quindi l’artista ha il compito di mostrare un percorso alle persone o almeno di indicare che le vie esplorate fino ad oggi possono non essere tutte quelle giuste. Un’arte che è lo specchio dei propri tempi e Luigi si fa Vate e decanta le contraddizioni e le mille commistioni che reggono la società. E mai come nel suo caso il gesto dell’artista ha un’importanza estrema nel flusso di ciò che oggi viene considerata arte. Luigi Dellatorre è restio ad apparire (ho infatti dovuto insistere per questa intervista) ma è uno dei pochi qui in zona ad avere davvero qualcosa da dire. Spesso chi osserva l’arte ma soprattutto chi la crea si illude che il bello esteticamente o ciò che colpisce l’attenzione bastino a mettere insieme un pubblico e a fare della persona un artista. Invece artista è colui che prima del mezzo mette davanti il messaggio. E lo fa spontaneamente. senza strani pensieri circa cosa è accettabile o meno. In questo senso è coraggioso e ingenuamente cocciuto come lo sono i bambini: se questo è il messaggio ed io voglio esprimerlo così. perché dovrei esitare? Luigi è uno di questi spiriti liberi. liberi dalle costrizioni del mercato. liberi dai (pre)giudizi. libero di esprimere se stesso come e quando desidera. Ammiro molto le scelte di Luigi: coraggiose. non convenzionali e difficili ma certamente di carattere e genuine. Purtroppo capita che in questa landa desolata chiamata provincia. dove raramente si vedono persone illuminate e slegate dalle catene dell’ignoranza. che sanno guardare oltre senza giudicare. le sue opere. di estremo interesse. vengano sottovalutate e non sempre comprese. È il caso di una sua performance artistica di qualche tempo fa. in cui lui girava per Piazza Ducale a Vigevano vestito completamente di nero e si è sentito additare da una mamma come l’uomo nero che poteva portare via la figlia se non faceva la brava. Ecco questo è purtroppo il clima “culturale” (metto le virgolette perché di cultura purtroppo ne è rimasta davvero poca in zona) in cui Luigi Dellatorre opera ma per fortuna sono le trasferte milanesi. in territorio nazionale ed estero. a dare all’artista maggiori soddisfazioni. Dopo due anni di scuola d’arte al Roncalli di Vigevano Luigi Dellatorre decide di trasformare la sua attività artistica amatoriale in una professione. A trentotto anni si licenzia da impiegato tecnico presso la raffineria petrolifera di Trecate. una decisione che ha preso insieme alla moglie. la quale lo ha aiutato a scrivere la lettera di dimissioni. Un passo importante e coraggioso per entrambi. Da lì ha iniziato il suo lavoro di ricerca. un percorso in salita. per “mettersi alla pari” con gli studenti dell’Accademia. Ha letto moltissimi libri. viaggiato e visitato musei italiani e stranieri. frequentando incontri e workshop senza mai la paura di confrontarsi. Questo è un altro punto a favore di Luigi: mai sentirsi arrivato. sempre desideroso di apprendere e di sperimentare a differenza di molti che si credono grandi artisti nonostante le scarse capacità e la pigrizia di non voler imparare. Ogni ciclo delle sue opere può durare anni: un tema viene sviluppato in più modi. con più tecniche. con molti pensieri. un’etica che viene trasformata in messaggio attraverso l’arte. Un concetto che dilatandosi porta all’analisi della situazione attuale (l’arte di Dellatorre è prima di tutto concettuale) e che mostra col tempo l’evoluzione dell’artista. Come ti sei avvicinato al mondo dell’arte? Il mio primo quadro risale al 1973. avevo vent’anni e avevo regalato dei colori a mia sorella... poi vedendo che non li usava li ho “requisiti” io. Ho iniziato a fare i primi lavori perché ho sentito il bisogno di esprimermi in maniera più “seria” ed è il periodo in cui poi ho iniziato a frequentare le lezioni al Roncalli. Dopo 12 anni che lavoravo. dopo essermi sposato. ho deciso che quella dell’arte era la mia strada e ho annunciato a mia moglie il mio desiderio di licenziarmi. Dopo qualche riflessione lei mi ha supportato nella scelta e ho cominciato a fare l’artista di professione. Grande impegno e fatica abbinate ad una forte esigenza di far sentire il mio messaggio. Nella sfortuna di non aver potuto frequentare l’Accademia. la mia fortuna è stata di sentirmi totalmente svincolato dalle sue regole e questo mi permetteva di esprimermi in totale libertà con i modi e i mezzi che più mi aggradavano. L’ultimo ciclo di opere che ho iniziato lo scorso anno. ad esempio. è una riflessione sul mondo. non certamente sull’onda emotiva degli accadimenti quotidiani. ma sul fatto che noi viviamo dei secoli che hanno permesso di arrivare a determinati traguardi ed ora siamo arrivati ad un punto che la realtà stessa. se la osserviamo bene. ci suggerisce che dobbiamo pensare ad un mondo diverso ed allora il portare l’arte e chi la guarda alla riflessione dell’essenza di ciò che chiamiamo casa. dove viviamo. vuol dire tutto. Vuol dire fare arte in modo etico per obbligare alla riflessione. un’arte con uno scopo diverso che non dà un senso di appagamento o di bello. ma che di fondo ha sempre un tema ricorrente: l’immagine che prolifera. che si genera. che si annulla. che ne rincorre altre. un qualcosa di diverso e un qualcosa che tutti noi possiamo produrre e che ci scambiamo regolarmente. Siamo talmente invasi dalle immagini che quasi non ce ne accorgiamo più. Prima. ad esempio. il vero fotografo era una persona con determinate caratteristiche e capacità. Poi si sono diffuse le reflex. la tecnologia ha fatto passi da giganti e ora chiunque può fare belle immagini e si è allargata la fascia di chi è capace e si vive costantemente uno scambio di immagini nella vita reale e virtuale. Cos’è l’arte per te? Quando riusciremo a definire l’arte. l’avremo spenta. È imprendibile. è un aspetto dell’umanità. Oggi chiunque può essere artista e paradossalmente è più facile dire cosa è o meno arte. attraverso determinate caratteristiche. che darne una definizione. Dovrei rispondere per me ma vedo che a questa domanda faticano a rispondere anche persone che si affidano agli strumenti della filosofia o della sociologia. Tutto quello che l’uomo chiama arte è arte solo che i secoli corrono e mutano le sensibilità e i concetti stessi di ciò che è arte. Oggi che siamo abituati a considerare arte. in base al nostro tempo. delle cose che non lo erano certamente anche solo cinquant’anni fa. È arte se ha un nesso logico ed estetico con un significato ed un contesto particolare. se l’opera è imbevuta del suo tempo. Quando si è immersi in un certo contesto o clima storico valgono certi argomenti legati a quell’epoca. quindi l’arte è lo specchio del tempo in cui l’artista vive. Le opere vanno però sempre esaminate attentamente. in modo che ci sia un giudizio critico che ne sveli le qualità artistiche indipendentemente dalla tecnica o dal soggetto ma per i concetti che queste esprimono. Bisogna applicare un criterio anche rigoroso ma pur sempre legato alla contemporaneità che si vive perché oggi fare certe cose non avrebbe più senso invece lo avevano al loro tempo. Per esempio adesso a Milano c’è una mostra di Vincenzo Agnetti che faceva parte di un tipo di concettualità più europea: ha un senso storico a visitarla ma le sue soluzioni oggi non sarebbero più riproponibili nel contesto di oggi perché oggi siamo immersi in un sistema di valori diverso. Invece ha più senso riprendere degli aspetti della concettualità e rivisitarli attraverso l’occhio di questo tempo. L’arte deve quindi essere l’emblema della propria era perché ci deve essere sempre una corrispondenza tra ciò che si vive e ciò che si produce. Hai sempre fatto una tipologia di arte diversa da quella dei tuoi “colleghi” qui in zona. Ti sei distinto per un’arte legata al gesto dell’artista. di tipo performativo... Questo aspetto della mia arte è stato frutto di un’evoluzione: le performance sono venute in un secondo tempo e a Milano iniziai a realizzarla verso la fine degli anni Novanta anche se era un trentennio in ritardo rispetto alle prime sperimentazioni sulla performance art di altri artisti. Ho avuto un mio percorso di sviluppo che mi ha portato a percepire. durante il cammino. questa esigenza. Io ho sempre cercato di evolvermi e di non rifare continuamente le stesse cose perché l’arte deve essere un percorso di crescita anche personale. L’arte per me è una trasformazione che deve operare sul tessuto sociale ma prima di questo deve operare su di me così che io possa passare il messaggio. È un’esperienza simile a quella teatrale. molto intensa. e le prime volte è rimasta così. a vagare nel nulla. poi ho invece voluto che ne rimanesse una traccia con foto e video. Nel mio caso ho costruito volontariamente un personaggio. quello dello sconosciuto vestito interamente di nero. su di lui avevo fatto anche un ciclo di opere. Ho sviluppato l’idea di una persona che si trova in una città a lui ignota. estraneo al contesto e non viene notato o visto da nessuno. Essendo estraneo è come se fosse rivestito di una patina che lo rende invisibile agli altri. Nella performance. essendo vestito di nero. non sono riconoscibile e quindi sono sia visibile (perché vestito in maniera differente dagli altri) che nascosto. A Milano mi facevo fotografare vestito così in metropolitana davanti a cartelli pubblicitari o agli incroci semaforici: volevo cogliere il contrasto tra l’invisibile e ciò che è creato per farsi notare. in un punto dove ci sono tante persone. Per quanto riguarda il nesso tra le pubblicità e l’arte ho realizzato anche moltissime opere nel mio ciclo di “Finale di partita” del 1995: prendevo le pubblicità e ci scrivevo sopra frasi a caso. senza senso. non mie ma prese da libri e riviste che trovavo in giro e a volte capitava che casualmente c’era un nesso tra la pubblicità e lo scritto. Il fine era far capire che siamo sommersi dalla pubblicità ma nel caso delle mie opere non si guardava più la pubblicità bensì il messaggio scritto sopra da me. obbligando chi guarda a seguire il percorso delle mie parole e non del messaggio promozionale. Per un istante. quello del gesto artistico. la pubblicità cessava il suo scopo principale. Nelle mie opere però non tendo mai a contrapporre le cose come giuste o sbagliate: questo modo di vedere le cose è superato. Ora c’è più la tendenza alla commistione. all’influenza reciproca perché di base il mondo in cui viviamo è costruito in questo modo. Diverse cose. anche opposte tra loro. che vanno riconosciute come tali. che convivono nello stesso spazio. contemporaneamente. osmoticamente. Bisogna adottare uno spirito meno rigido rispetto al passato. più morbido e riflessivo verso le cose. ma questo non vuol dire che sia meno critico. Non è più l’epoca del pensiero forte. siamo ampiamente in quella del pensiero debole con atteggiamenti meno rigorosi e impositivi. Siamo senza certezze definite. immersi in un marasma di cose delicate e spesso non si sa più dove appigliarsi. senza ideali forti. se non fosse così non saremmo nella situazione attuale. Poi c’è sempre l’uomo dietro. che deve saper mediare in base alle proprie idee. sensibilità. cultura. Ma anche questi concetti sono soggettivi e questo comporta una serie di complicazioni. Ti occupi inoltre di video arte... Quali sono i messaggi che vuoi far passare con i tuoi lavori? A un certo punto. una decina di anni fa. ho sentito una lacuna: non sapevo fare video e avevo sempre amato poter realizzarli. Per anni mi è mancato molto come mezzo poi ho trovato qualche amico e conoscente che erano in grado e lì ho iniziato. collaborando con loro. a fare le prime esperienze. Intorno al 2010. anche per ovviare a questo problema. mi sono chiesto: se provassi a fare video senza l’uso della videocamera? Ho iniziato a raccogliere immagini dalla rete e a metterle vicine tra loro con un sonoro unico. Un secondo di video ha 25 fotogrammi: io mettevo ad ogni frame un’immagine e facevo video della durata anche di alcuni minuti. Vedevi tante immagini. molte delle quali l’occhio non percepiva. ma infine non vedevi nulla. Volevo far riflettere sulla proliferazione delle immagini e la confusione che essa crea. Lo strumento principe della visione. il video. in questo caso. non ti permette di vedere perché ci sono moltissime immagini ma queste sono inafferrabili. L’idea era di fare un video che sconfessasse l’idea di video. del primato delle immagini sulla realtà. Il senso al video lo dava il sonoro che era il fil rouge di tutto. In un secondo momento poi ho fatto lavori su Milano. la Piazza Ducale di Vigevano ma la mia priorità non era la perfezione tecnica bensì il messaggio. infatti sottraevo delle caratteristiche tecniche a favore di quelle estetiche ed artistiche. La tua è un’arte che coinvolge molto anche gli aspetti sociali. che invita all’azione e che vuole scuotere le coscienze... Certamente. In Cavallerizza a Vigevano avevo realizzato delle performance in cui coinvolgevo anche le persone. Portare in un contesto diverso questo tipo di arte può permetterti di spiazzare il pubblico e catturare l’attenzione delle persone. E’ ovvio che in certi contesti chi non rientra nella dinamica “tradizionale” si scosta e attira la curiosità di chi osserva. Stimolare per far scoprire altri aspetti dell’arte... Può esistere secondo te un dialogo tra la performance art e l’arte più tradizionale? Perché no. All’interno di una mostra “tradizionale” si possono. secondo me. aggiungere performance artistiche o video arte ed inserire altri artisti che. con il loro occhio contemporaneo. possano mostrare come loro vedono le opere più classiche. Un connubio è possibile basta avere delle idee forti alla base e avere rispetto delle cose. Anzi questo tipo di matrimonio aggiunge significato perché per quanto l’arte si modifichi nei secoli. in realtà alla base ci sono elementi comuni: un’esigenza di esprimere dei concetti che possono sfuggire. Quello che cambia sono le modalità con cui l’artista si esprime. Oggi un affresco forse non avrebbe più senso. ma dietro c’è sempre un uomo con delle ansie alla ricerca di risposte. Dirò di più oggi l’artista è più libero: un tempo era legato alla committenza. ora può esprimersi come meglio crede. Di recente hai partecipato alla Permanente di Milano con delle tue opere... Sicuramente è un luogo prestigioso dove esporre. una vetrina importante e dove la mia arte è apprezzata e spesso propongo liberamente. senza imposizioni. performance e altre tipologie di arte che realizzo. Ultimamente poi la Permanente si sta aprendo molto agli eventi ma anche all’arte meno legata al locale e con un occhio più attento verso artisti di fama internazionale. Un percorso davvero interessante. quello di Luigi Dellatorre. che ripercorre temi importanti. non solo dal punto di vista etico ma anche sociologico e filosofico. Una riflessione sul mondo che ci circonda ed i suoi mutevoli ingranaggi. Una società devota al postmoderno in cui non si smette di accumulare. perché l’importante non sono i contenuti ma fare tanta “massa”. senza comprendere che è l’assenza di qualcosa. la mancanza o per lo meno la sua rarità a rendere importante una cosa. La mancanza in questa società è diventata un tabù: non puoi non avere determinati oggetti o fare certe cose perché altrimenti non sei nessuno. Persino il concetto di mancanza per antonomasia. la morte. è stato cancellato: basti pensare a come la si affronta pubblicamente e mediaticamente o a certe pubblicità di dubbio gusto che cercano di bypassarla o di mascherarla (anche le stesse case funerarie fanno un marketing senza mostrare qual è il loro vero lavoro ma puntando sui trend del momento). Siamo degli illusi: la ricchezza di immagini. quelle che proliferano come tumori negli schermi delle nostre case. non ci appaga veramente e non ci rende persone ricche interiormente. La realtà sconfessa se stessa e l’ansia dell’accumulo non fa altro che peggiorare il nostro stato. Il virtuale sta uccidendo il reale e si sta sostituendo ad esso. senza che la maggior parte di noi se ne renda conto. Siamo immersi in quella che Jean Baudrillard definisce iperrealtà: qualcosa di simile alla realtà che si sostituisce pian piano ad essa generando modelli simili a quelli del reale ma che sono di fatto del tutto scollegati da essa. Pensate alla società in cui viviamo oggi come ad un enorme rave party pieno di sballi di ogni tipo. di luci psichedeliche. di musiche assordanti. E noi siamo lì. immersi in questa sovraeccitazione dei nostri sensi. iperstimolati su ogni fronte. sempre più frustrati. Ma noi la festa non la possiamo lasciare. ci hanno chiuso dentro. le uscite di sicurezza sono bloccate. Non possiamo nemmeno staccare la spina alla musica e alle luci. Quindi? L’unico modo possibile di vivere all’interno di questo grosso frastuono è quello di sballarsi poco (o niente) e saper riconoscere. a mente lucida. dove ci stiamo dirigendo e a fare che cosa. Parafrasando Slavoj Zizek (o il Morpheus di Matrix)... benvenuti nell’affollatissimo deserto del reale. Vi invito a visitare il sito di Luigi Dellatorre: www.luigidellatorre.it Paola Doria PS. Auguro a Luigi di uscire definitivamente da questa situazione di stallo. non di certo creativo (la creatività e lo spirito critico non gli mancano di certo). ma di uscire da quello che è il “local”. Gli auguro di volare verso lidi che apprezzino la sua arte e la sappiano valorizzare al meglio. perché non sempre la globalizzazione. soprattutto in campo artistico. è un male.
07/07/2018
Paola Doria
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