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SEMPRE CAR MI FU QUESTO... FESTIVAL ($$$$)

Foto SEMPRE CAR MI FU QUESTO... FESTIVAL ($$$$)

OPINIONI

“[Populus] duas tantum res anxius optat panem et circenses” (trad. “[il popolo] due sole cose ansiosamente desidera: pane e giochi circensi”) così scriveva Giovenale nelle sue “Satire”. Non siamo più al tempo degli Antichi Romani ma sta di fatto che secoli di storia non ci hanno insegnato nulla: l’uomo è sempre lo stesso, solo il contesto e i mezzi sono cambiati. Una volta c’erano i gladiatori, ora c’è il calcio. Una volta c’erano le naumachie e ora c’è… il Festival di Sanremo che ogni anno, ahimè, incombe su noi italiani paganti il canone come l’iceberg davanti al Titanic. Un carrozzone pesante come dieci donne cannone che mai nessuno si è preso la briga di svecchiare ma che tanto rende a Mamma Rai che ogni 365 giorni celebra il sontuoso funerale del Fu Festival di Sanremo conservandone gelosamente le spoglie, manco fosse Mao Tze Tung redivivo. Di fatto a nessuno importa un fico secco del Festival di Sanremo oggi. Oggi soprattutto in piena pandemia in cui la gente è imbestialita dalla mancanza di aiuti alle attività, alle famiglie, che spesso non sanno come tirare a fine mese. Furiosa delle tante serrande abbassate; i ristoratori non possono lavorare come si deve, i centri estetici e le palestre sono chiusi, la gente lavora in “smart working” con salari spesso ridotti, in modalità per nulla smart … per non parlare di chi il lavoro non ce l’ha o l’ha perso. Eppure Mamma Rai ci propina sta farsesca “cura Ludovico” con cantanti sconosciuti che sperano in un lancio (non dalla finestra si augurano) o cantanti semi mummificati che cercano un ritorno di immagine. Tutti proponendo, nella maggior parte dei casi canzonette da quattro soldi che non sono degne di essere considerate nemmeno musica. Il Festival di Sanremo ha cessato il suo scopo da molti anni: se prima aveva il compito di essere un veicolo di promozione di nuovi volti e della musica italiana nel mondo ora, con tutte le tecnologie di questo mondo, è un contenitore vuoto, un rituale senza senso da eseguire con formule precise di cui nessuno si chiede il significato, un po’ come le messe in latino nei piccoli paesi in cui solo il celebrante capiva il senso di quello che stava dicendo. Eppure questo “cadavere” del Festival viene ogni anno scongelato come la carne avanzata e vecchia da mesi che viene ogni volta ritritata per farci indigeste polpette. Questo elefante gigantesco che incombe in una piccola stanza e devasta tutto ruba letteralmente spazio a programmi ben più attuali e stimolanti che potrebbero andare in onda al suo posto, solo se ci fossero davvero creativi con gli attributi e creassero cose meritevoli di nota e non “robetta” facile da scrivere e di poco impegno per occupare le masse senza farle pensare con la loro testa. Eh si, perché pensare fa male, rende indipendenti… Insomma sto carrozzone di cantanti (che sono le figure meno peggio del “Sistema Festival”), presentatori, vallette e ospiti con stipendi talmente alti che un operaio deve lavorare anni, se non tutta la vita per vedere certe cifre, si ripropone anche questa volta come i peperoni di zia Giovanna. Quest’anno, anche fosse il più bel Festival di sempre, non c’è lo spirito del far festa. La gente è preoccupata e non ha voglia di ascoltare strimpellatori da quattro soldi. Eppure c’è questo timore reverenziale quasi fosse il Santo Padre: pure le reti concorrenti non fanno nemmeno uno sforzo da peso mosca per fare concorrenza. MA ci sono degli interessi economici evidenti, e non solo la tradizione, a tenere in piedi questo Jabba the Hut e quindi guai a farlo saltare se no in tanti perdono pecunia e poltrona. Quando Elio e le Storie Tese cantavano “la terra dei cachi” avevano proprio ragione: si è avuto pure il coraggio di voler un pubblico a questa farsa. I cinema, i teatri sono chiusi da mesi con personalità di ogni provenienza geografica ed artistica che fanno appelli in ognidove per poter riaprire (è cibo per la mente e sinceramente a posti ridotti non vedo pericolo maggiore di quello di andare a fare la spesa al supermercato, idem per bar e ristoranti) e hanno il divieto assoluto di riaprire pena fustigazione in piazza e Mamma Rai vuole un permesso speciale… Che vergogna! Adesso pare abbia ritrattato e che il pubblico sarà solo quello (poco, pochissimo) dei televisori ma la Rai chiederà l’aiuto da casa per i dati Auditel (che stranamente per il Festival sono sempre alti nonostante la barbosità della solita minestra, pagata sempre con i soldi degli abbonati prigionieri del canone). Questi soldi (tanti aggiungo) non era meglio spenderli in modo più intelligente magari con programmi che aiutassero i ragazzi con la didattica a distanza e dando un vero servizio di eccellenza come lo era una volta? Il prossimo anno, Mamma Rai, fai pure il Festival a Sanremo: con il pubblico sì (se sarà possibile) ma soprattutto senza presentatori, vallette, ospiti e cantantuncoli… Per chi se lo chiedesse io nelle sere dal 2 al 6 marzo prossimi sarò impegnata in lunghissime sessioni di pedicure e manicure con un bel libro in mano, molto meglio delle ritrite canzonette.

25/01/2021

Paola Doria

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